Il predatore si nasconde nel folto: speculazioni (dell’autore) su storie di predazioni, apparizioni, nuvole e stelle

Simone Lentini/ Gennaio 4, 2023/ Astronomia, Cultura, Storia

1. Dai fantasmi alle stelle: percezioni alterate

Taung, Sudafrica, 2,3 milioni di anni fa. Un piccolo di Australopithecus africanus, potrà avere poco più di tre anni, si guarda attorno terrorizzato. Già da alcuni minuti si sente osservato, braccato e cerca, cerca disperatamente tra l’erba alta i segni della presenza di un predatore: uno sguardo, la sagoma, il colore del manto. Nel panico cerca il pericolo nascosto ed è solo quando l’istinto di sopravvivenza gli urla di scappare, che probabilmente si dà alla fuga. Ma il piccolo non ha fortuna: il predatore si abbatte su di lui con i suoi artigli ed un suono acuto, stridulo. Dall’alto un rapace si fionda a zampe protese per ghermirlo e divorarlo nel suo nido. Milioni di anni dopo, nel 1925, viene ritrovato il nido di quel rapace ed in questo i resti fossili di quello sfortunato piccolo nostro antenato, il Bambino di Taung.

Il bambino di Taung è un individuo di Australopithecus africanus. Le ossa rivelano come il giovane sia stato predato, forse da un’aquila.

Bélmez de la Moraleda, 1971. Macchie somiglianti a volti appaiono in una casa del paese. Nel giro di poco tempo si sparge la voce che l’abitazione sia infestata. Il sindaco fa scavare una buca nella cucina, lì dove il primo dei Volti di Bélmez è apparso. Vengono trovate resti ossei del XIII secolo; si viene poi a sapere come la casa sia stata edificata su un terreno di una vecchia chiesa locale, adibito a terreno cimiteriale. Sepolti degnamente i resti tutto è finito. Oppure no.

Perché i volti ritornano ad apparire. La cosa strana è che, più passa il tempo, più i volti sembrano diventare perfetti. Troppo. La fama, che già in parte aleggiava attorno alla casa, esplode furibonda. L’inquietante manifestazione attira inevitabilmente migliaia di curiosi. E di soldi. Mentre le spiegazioni più plausibili si scontrano con il sovrannaturale, le macchie sulle pareti richiamano migliaia di turisti, disposti a sborsare alla proprietaria pesetas. I Volti di Bélmez saranno pure inquietanti, ma per una povera donna spagnola di un anonimo paese dell’Andalusia valgono oro.

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Gli inquietanti Volti di Bélmez. Trattasi di presenze sovrannaturali o di un banale artefatto atto a portare turisti nell’anonimo paese di Bélmez de la Moraleda? Fonte: web.

Palermo, 2013. Al calare della sera il fantasma di una suora s’affaccia dalla finestra del campanile della chiesa della Madonna della Mercede, nel vecchio mercato del Capo. In breve tempo le vie del mercato si riempiono di curiosi. La devozione popolare si scatena: è S. Rosalia per alcuni, mentre altri parlano di miracolo. La suora è lì, sotto gli occhi di tutti: abito nero, mani giunte, che guarda in basso, quasi in atto di pregare per il popolo, il quale non rinnega le preci, anzi, ringrazia e ricambia.

Il quartiere del Capo, a Palermo, parrebbe infestato dal fantasma di una suora, che appare nel campanile di una chiesa. A guardare meglio però, il fantomatico trapassato si rivela un gioco di ombre. Fonte: Balarm.

Le nuvole sono masse d’aria nelle quali l’acqua è condensata in vapore, manifestandosi alla vista. Ci sono dieci categorie di nuvole identificate dagli scienziati. E centinaia di nuvole che prendono forme totalmente diverse a seconda di chi le guarda. I più fantasiosi vi vedono addirittura forme familiari o bizzarre. La gente vede forme, creature di vapore. In India si dice che un tempo gli elefanti avevano le ali e si muovevano nel cielo come nubi.

Varie immagini dal web che rendono bene il potere immaginifico della mente umana.E poi ci sono le costellazioni, forme di stelle sparse create sin dall’antichità. Gli antichi popoli vi videro eroi, uomini ed animali, mostri stellati attraverso i quali i pianeti, muovendosi, giocavano con il destino dell’Umanità. Questo accadeva tempo fa. Oggi le costellazioni sono figure morte, ridotte a scheletri informi, irriconoscibili ai più. E derisi.

Cosa hanno in comune questi fatti e storie? Nulla direbbero in molti.

La risposta giusta è invece tanto. Tantissimo!

Siamo animali con un istinto di sopravvivenza che ha partorito una sorta di meccanismo di difesa contro l’agguato di predatori nascosti nel folto. In passato i nostri antenati cacciatori entravano in allerta quando percepivano, o credevano di percepire, un predatore. Nel momento in cui l’allarme suonava, il cacciatore entrava in allerta: ne andava della sua vita trovare il più rapidamente possibile il predatore ed attaccarlo, prima che questi decidesse di balzargli addosso e farlo fuori.

A volte la tensione poteva portare ad individuare il fantomatico aggressore nascosto in forme rocciose od in giochi d’ombra e luci, ma ciò non avrebbe rassicurato il cacciatore più di tanto. Anzi. Proprio quell’individuare forme ferali là dove non c’era nulla, avrebbe spinto il nostro cacciatore a prepararsi meglio per un potenziale attacco. La tensione sarebbe rimasta alta, lasciando che il nostro decidesse cosa fare: prepararsi ad attaccare in vista di un reale attacco (che forse non ci sarebbe mai stato) o fuggire.

David Navon, psicologo israeliano, ha scritto:

Un ominide d’altri tempi avrebbe rischiato di pagarla cara se non avesse riconosciuto come occhi di un predatore un paio di punti luminosi nella boscaglia al buio, scambiandoli per due lucciole

Una leonessa in agguato nella savana. Il manto si confonde con il colore della vegetazione, dando al predatore un vantaggio sulla preda. A quel punto per la preda riconoscere nell’ambiente circostante ogni minimo dettaglio fuori posto diventa questione di vita o di morte. I nostri antenati erano allo stesso momento predatori e prede; l’istinto di preservazione li portava a cercare nella natura ogni traccia di pericolo. La pareidolia non è altro che l’istinto di preservazione che torna a scattare. Fonte: web.

2. Il campanello d’allarme: attacca o scappa

La pareidolia, dal greco pará (παρά), presso ed eídōlon (εἴδωλον), apparizione, è appunto un meccanismo mentale frutto dell’istinto, all’origine di tutto quanto descritto. La pareidolia è un sistema d’allarme passato di generazione in generazione, nata in un periodo in cui il genere umano era facile preda. Si tratta di una forma peculiare di apofenia, la tendenza a dare un significato (a volte esagerato) a percezioni casuali. Oggi è solo un bug inutile. Tranne che in alcune condizioni, nel quale ritorna utile e prepara il corpo alla fuga da un potenziale rischio. Altre volte può generare casi di isteria di massa. Apparizioni di fantasmi, volti di santi, visi o figure umane. Si può vedere di tutto in rocce o giochi di luce, si possono creare figure nella nebbia, nelle nuvole; si possono creare costellazioni con le stelle. Tutto ciò trova origine nella pareidolia. E nella fantasia umana di riplasmare il mondo in forme delle quali ha esperienza.

Varie immagini dal web che rendono bene l’effetto della pareidolia. La natura, ma anche difetti nelle riprese, possono evocare presenze nel mondo naturale o entità apparire in foto o riprese.

Condizioni come l’incamminarsi per una via buia, o muoversi in un luogo che vanta una pessima nomea, possono spingere la parte più ancestrale della nostra mente a percepire in maniera errata il mondo: immagini e suoni ambientali travisati dalla mente possono materializzare le paure che ci aspettiamo di affrontare da un momento all’altro. Ed allora si scappa cercando la salvezza. O si attacca sperando di averla vinta.

Poi magari si scopre che non c’era nulla di pericoloso. Che è stata tutta suggestione. Ma intanto siamo salvi. Potere della preservazione.

Altre volte la pareidolia scatta semplicemente in automatico, senza che la nostra vita sia a rischio. Riconoscere forme tra le stelle o nelle nuvole, vedere un viso o una determinata emozione in una roccia, in una emoticon, non sono la reazione ad un potenziale pericolo.

In tutti e due i casi la pareidolia fa il suo sporco gioco. Quando pochi dettagli caotici, visuali e uditivi, si manifestano, la mente animale, l’istinto di preservazione, s’attiva per dare loro un senso. È automatico. Ci può salvare la vita in condizioni di tensione. O ci può aiutare a creare forme quando lasciamo libera la fantasia, sotto un cielo stellato.

La pareidolia è sempre una risposta culturale. Un aborigeno, da solo nella notte, sotto stress, piagato dalla suggestione, non riconoscerebbe mai tra le ombre la stessa entità mostruosa di un nativo pellerossa. E lo si vede bene con una forma di pareidolia diffusa a livello planetario, in tutte le culture: le costellazioni!

3. Dipinti tra le stelle: il Cielo come una caverna

Le costellazioni sono un esempio lampante della pareidolia. Ma perché l’uomo avrebbe dovuto riconoscere forme tra le stelle?  Perchè non abbiamo memoria di figure create con le nuvole, che rimangono anche dopo che le stesse si sono dissolte?

Avremmo potuto avere il concetto di creature che abitano nel Cielo e che di tanto in tanto si materializzano in forma di nuvole. Ma no. Non c’è una simile credenza. Da nessuna parte.

Le nuvole sono effimere. Le loro forme mutano. Non durano. Le costellazioni sono invece qualcosa di profondamente diverso. C’è un abisso tra il cielo delle nuvole ed il cielo delle stelle: sono due regioni completamente diverse agli occhi dell’istinto di un uomo primitivo.

Le forme stellate delle costellazioni si sono mantenute, guidate da due fattori fondamentali:

  1. La natura immutabile del Cielo. Il Cielo è immutabile, le stelle non si muovono dalle loro posizioni, rimanendo inalterate sera dopo sera, mese dopo mese, anno dopo anno, secolo dopo secolo. Questo avrebbe pensato un uomo dell’antichità. In realtà non è così. Il Cielo di un sumero era quasi lo stesso di Socrate o Alessandro Magno. Le stelle si muovono impercettibilmente nel corso di secoli. Il primo che se ne accorse fu Halley, intorno alla metà del XVII secolo, che paragonando alcune coordinate stellari del suo tempo con altre ricavate da cataloghi medioevali, si accorse di movimenti impercettibili di Arturo e Sirio;
  2. La natura stessa del Cielo, quale luogo di creature ultraterrene, forse proprio per quella sua apparente immutabilità ed eternità. Le stelle potevano essere anime di trapassati, spiriti, entità superne, a volte non proprio benigne. L’uomo avrebbe avuto ben ragione di tenere in considerazione, nel bene o nel male, quelle entità e la pareidolia sarebbe entrata in gioco come un modo di preservarsi da… qualcosa di sovrannaturale che si annidava tra le stelle. C’erano cose in Cielo. Forse bisognava tenerle d’occhio, adorarle, glorificarle. Ed assicurarsi che non si muovessero da lì. Forse.

Secondo Michael Rappenglueck, che ha studiato le figure delle grotte di Lascaux, la figura di toro riportata sarebbe in realtà la raffigurazione della costellazione omonima. A testimoniarlo sarebbero i sette punti in alto a destra nella figura, che corisponderebbero al gruppo delle Pleiadi, le sette stelle sul dorso della costellazione del Toro. Se fosse vero, la costellazione del Toro sarebbe una tra le più antiche. E sarebbe anche rimasta immutata per migliaia di anni, forse a causa della effettiva somiglianza tra le stelle e la figura rappresentata. Rappenglueck è convinto della natura stellare di altre pitture rupestri. Immagine dell’autore.

Alla luce di ciò, le prime costellazioni potrebbero aver trovato i loro primi germi proprio in quell’epoca nella quale era viva e forte la credenza in un mondo spirituale. Era l’epoca dell’animismo e del totemismo. O forse prima. Chissà. Forse era l’epoca in cui l’Uomo dipingeva figure nelle pareti delle caverne. Forse l’Uomo dipinse tra le stelle proprio per lo stesso motivo che lo portò a dipingere sulle pareti di anfratti rocciosi. Chissà che qualcuna di quelle figure rupestri non sia una costellazione. C’è chi lo afferma: figure animali di alcune pitture rupestri, costellati di punti e tondi, sarebbero in realtà stelle e costellazioni paleolitiche. Ma c’è un ma enorme. Qualche  disposizione di punti in alcune pitture rupestri potrebbe davvero ricordare gruppi stellari esistenti, specie considerando quei gruppi di stelle, magari cospicue, la cui disposizione è rimasta quasi immutata nei millenni: si pensi alle Pleiadi.  Più difficile è invece dimostrare che alcune delle figure animali ritratte siano costellazioni vere e proprie.

Il problema è uno: entrare nella testa di quegli artisti paleolitici. Perchè disegnarono? Furono loro i primi a disegnare con le stelle? Perchè? Che avessero un credo legato al mondo naturale, è probabile. Che credessero in entità spirituali è fattibile. Che pensassero che alcune di quelle vivessero nella Natura e nel Cielo in particolare, è quasi scontato. Nulla vieta di fare speculazioni del genere. Il problema è che restano tali.

Pitture rupestri delle grotte di Lascaux. Le raffigurazioni risalgono ad un periodo tra 18.000 e 17.000 anni fa. Il perchè l’Umanità abbia dipinto sulle pareti delle grotte, non è ancora noto. Rituali di caccia o religiosi o semplice forma d’arte? Fonte: web.

Il Cielo era pieno di spiriti che l’Uomo vestì di stelle e che rese protagonisti di racconti. Veri e propri exempla che andavano tramandati, avvisi, moniti, qualcosa del tipo se qualcuna di quelle stelle, associate a una data entità maligna, si muove, è la fine.

Qualcosa del genere si riscontra in un mito slavo, che appare nell’Encyclopedia of Russian and Slavic Myth and Legend di Mike Dixon-Kennedy. Qui si afferma come nelle stelle dell’Orsa Maggiore o dell’Orsa Minore si nasconda una creatura o divinità senza nome; la bestia/entità è incatenata e se questa dovesse rompere le sue catene, allora il Mondo giungerebbe alla fine.

4. Precetti degli spiriti: storie stellari perdute e ritrovate

Se l’Uomo vedeva entità tra le stelle, se così fosse, l’Uomo non solo dipingeva sulle pareti delle caverne. Forse dipingeva anche tra le stelle. Con le stelle. Forse le costellazioni nacquero così. Come figure spirituali trasmesse di cultura in cultura, che poi trovarono in qualche modo forma materiale nei primi cataloghi stellari babilonesi. Ma questa è un’altra storia.

Ogni cultura aveva le sue costellazioni. E chissà da quale tempo derivavano. Chissà come mutarono nel corso del tempo prima di deteriorarsi a causa dell’interazione con la cultura occidentale. Le costellazioni riconosciute dall’International Astronomical Union sono 88 e di queste 48 sono di origine greca, a loro volte derivate dai Babilonesi. Ma il Mondo è grande e molte culture si sono succedute. Altre costellazioni sono nate in tempi remoti, in altre terre, con le nostre stesse stelle. A quelle potevano essere legati miti, figlie di chissà quali esperienze remote, di chissà quali tempi dimenticati. Ma di quelle altre costellazioni non ci resta che poco.

Se vogliamo una risposta alla domanda del perchè l’Umanità abbia dipinto con le stelle la volta del Cielo, forse bisogna spostarsi in Australia. Gli aborigeni possono darci un’idea di quelle che furono le prime tradizioni stellari dei primi osservatori celesti. Secondo R. D. Haynes (1992) le tradizioni astronomiche degli aborigeni:

… sono state trasmesse, oralmente, per circa 40.000 anni, per mostrarci, al contrario di altre culture, come un fenomeno naturale oltre il controllo umano possa essere assimilato e compreso senza il ricorso alla misurazione del tempo, distanza o quantità.

Haynes aggiunge come tali tradizioni, legate a determinati oggetti, avessero funzioni predittive, ma soprattutto morali. Il cielo aborigeno è abitato da spiriti degli antenati, animali e creature spirituali. In esso rivive il Tempo del Sogno (Dreamtime), un periodo ancestrale durante il quale spiriti ed esseri viventi convivevano insieme sulla Terra. In quel periodo mitico gli spiriti donarono i loro insegnamenti agli uomini ed oggi rivive tra le stelle, con i suoi preziosi precetti che gli anziani cercano di tramandare ai giovani, nella speranza che tale cultura non naufraghi nell’indifferenza moderna.

Riassumendo: se ogni cultura nel Mondo ha creato costellazioni nei cieli, intessendole di miti, è perchè l’Uomo è stato preda e predatore, cercando di sopravvivere agli agguati di predatori mimetizzati nella natura. Forse tra le stelle ha dato forma ad entità dalle quali ha cercato di difendersi o che ha cercato di glorificare. Da quelle ha appreso il concetto di tempo e le ha rivestite di significati morali.

Simone “Narrastelle” Lentini

Fonte.

(2000): Ice Age star map discovered. BBC. Link consultato il 23 agosto 2020.
Dixon-Kennedy, M. (1998): Encyclopedia of Russian and Slavic Myth and Legend. ABC-CLIO.
Haynes, R. D. (1992): Aboriginal Astronomy.

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