Guida alla scelta del primo telescopio
Tutti gli astrofili hanno iniziato la propria attività con il semplice osservare ad occhio nudo la volta celeste, imparando a riconoscere le costellazioni e ad orientarsi in cielo.
Nonostante l’occhio umano sia un rivelatore di segnali luminosi fenomenale (almeno nella banda dello spettro elettromagnetico visibile 390 ai 700 nm), prima o poi si inizia a pensare di acquistare uno strumento ottico che ci permetta di avvicinare gli oggetti e che sia progettato in modo tale da poter raccogliere un quantitativo di luce maggiore di quello che può la nostra sola pupilla.
Il telescopio è il più grande amico dell’astrofilo e la sua scelta è il frutto di considerazioni che riguardano molti aspetti, primo tra tutti il tipo di uso che se ne vuol fare.
La tipologia di oggetti che si possono osservare attraverso un telescopio è vasta, ma raggruppabile in grosse macro-categorie: Luna, Sole, pianeti e oggetti del cielo profondo. Oltre al target osservativo, bisognerebbe inoltre valutare il tipo di utilizzo che si vuol fare: molti astrofili preferiscono l’osservazione visuale, mentre altri si specializzano nell’arte dell’astrofotografia. Ad ogni modo, i telescopi utili all’osservazione visuale sono meno esigenti in termini di qualità ottica rispetto a strumenti per l’astrofotografia che sono spesso più costosi per via dei trattamenti utili al contenimento di problematiche di natura ottica che vedremo più avanti.
Ad ogni modo esistono caratteristiche fondamentali da tenere in mente prima dell’acquisto di un telescopio che ne determinano le prestazioni. Primo tra questi è il potere risolutivo, ovvero la capacità di un telescopio di separare due oggetti che ad occhio sembrano essere uno solo.
Immaginiamo di dover osservare un sistema di stelle doppie molto vicine tra loro. Saremo capaci con il nostro telescopio di separare le due stelle (vedi figura a sinistra)? Questo dipende dall’apertura del nostro strumento, ovvero dal diametro dell’obbiettivo che raccoglie la luce. Da considerazioni fisiche si dimostra che il potere risolutivo di un telescopio può essere espresso come
dove è il diametro espresso in mm e è la lunghezza d’onda a cui osserviamo. Se assumiamo , che cade nel verde più o meno a metà della banda visibile, per un telescopio di 200 mm di diametro ricaviamo un potere risolutivo di circa 0.69″ (o secondi d’arco). Questo è il massimo che possiamo fare! Dettagli più stretti non saranno distinguibili. Ricordate che minore è il valore di e più la risoluzione del nostro telescopio sarà alta.
Il valore del diametro sarà importantissimo, assieme alla focale F, per determinare la luminosità del nostro telescopio, ovvero il rapporto focale definito come , dove è la focale del telescopio in mm.
Ad esempio, un telescopio con apertura di 200 mm, avrà un rapporto focale di f/10 se la sua focale sarà di 2000 mm, o di f/2 per focali di 400 mm.
Se idealmente provassimo a guardare attraverso uno stesso oculare, in entrambi i casi noteremo che nel caso di f/10 avremo sì ingrandito di più l’oggetto da osservare, ma l’immagine risulterà più scura e meno definita rispetto al caso del telescopio con rapporto focale f/2.
Questo è il motivo per cui strumenti con rapporti focali così bassi vengono progettati soprattutto per le riprese fotografiche e vengono chiamati astrografi (a parità di tempi di esposizione sul soggetto si riesce a cogliere dettagli più evanescenti in virtù della maggiore potenza di raccolta di luce dello strumento).
Sulla base di quanto detto, se abbiamo un interesse per l’osservazione dei pianeti e della Luna è consigliabile uno strumento ad alto rapporto focale come un f/10 per via della lunga focale che ci permetterà di avere un più alto ingrandimento dell’oggetto.
Viceversa, per l’osservazione degli oggetti del profondo cielo si consigliano strumenti a rapporto focale più basso. Questi garantiscono una maggior luminosità del campo inquadrato (l’oggetto appare più luminoso) assieme ad un più grande campo di vista che è ottimale per centrare tutto l’oggetto che in molti casi, come per le nebulose, è esteso.
Una volta assodati questi due concetti fondamentali che guideranno le nostre prime considerazioni sull’acquisto di un telescopio, adesso iniziamo a riportare le caratteristiche degli schemi ottici più comuni: i rifrattori, riflettori e i telescopi catadiottrici.
Considereremo gli schemi ottici solo in relazione ad un utilizzo di tipo osservativo e non fotografico.
Rifrattori
Parliamo dello stesso schema ottico che caratterizzò il cannocchiale con cui Galileo scoprì le lune di Giove, le macchie solari e le montagne lunari. I telescopi rifrattori hanno lo schema ottico più semplice che consiste in un tubo chiuso alla cui estremità è alloggiato un sistema di lenti. Per un effetto fisico detto “rifrazione” (da cui il nome dello schema) il cammino ottico della luce che attraversa il sistema di lenti viene deviato fino ad essere collimato in un punto detto punto focale. In prossimità di questo punto viene applicato un secondo sistema di lenti (oculare) che per lo stesso effetto visto precedentemente convoglierà il fascio luminoso all’interno del nostro occhio, dove verrà focalizzato sulla retina.
Vantaggi: Il telescopio rifrattore è a cella chiusa e dunque è difficile che polvere o condensa si accumulino all’interno del tubo ottico. Trattandosi inoltre di ottiche fisse, non è necessario allineare le ottiche all’osservatore (collimazione), tranne che in particolari circostanze. Per di più il fascio luminoso viene totalmente sfruttato per l’osservazione non essendoci ostruzioni nel cammino ottico, con grosse implicazioni sul contrasto che in questi tipi di telescopio è molto alto (caratteristica molto utile nell’osservazione dei crateri lunari o dei dettagli gassosi su Giove).
Svantaggi: La rifrazione del fascio luminoso avviene con un angolo diverso a seconda della lunghezza d’onda, motivo per cui ogni lunghezza d’onda verrà focalizzata su un punto focale leggermente diverso. L’effetto visibile di questo problema, chiamato aberrazione cromatica è quello di osservare delle immagini leggermente fuori fuoco, quindi meno definite e con degli aloni di colore diverso (vedi figure sotto).
Ciò che ne consegue è un’incidenza elevata dei prezzi quando le ottiche vengono trattate per arginare quanto più possibile questo inconveniente. Non esistono rifrattori privi di aberrazione cromatica, ma solo strumenti in cui l’aberrazione è stata ridotta il più possibile.
Riflettori
Si tratta dello schema ottico ideato da Isaac Newton nel XVII secolo. Lo schema ottico dei riflettori Newtoniani non prevede l’utilizzo di lenti, ma di soli specchi. In particolare, il fascio luminoso viene riflesso in un primo specchio parabolico detto specchio primario per poi essere riflesso da una secondo specchio (specchio secondario) più piccolo e inclinato di 45°. Questo focalizza la luce sul punto focale dove viene applicato un oculare.
Vantaggi: Il pregio di questo tipo di telescopio è quello di essere molto versatile per l’osservazione di tutte le tipologie di oggetti sopra citati. Si tratta di strumenti di dimensioni più piccole e più economici rispetto ai rifrattori. Non essendo presenti lenti, lo strumento è del tutto privo di aberrazione cromatica. La loro compattezza permette inoltre di avere lunghezze focali più lunghe in strumenti più manegevoli.
Svantaggi: I riflettori soffrono di una aberrazione chiamata coma. Questa è dovuta al fatto che i raggi di luce obliqui intersecano il piano focale a distanze diverse dall’asse principale invece di essere sovrapposti, venendo a formare una immagine stellare non a fuoco e allungata, che prende la forma di una cometa (vedi figure sotto).
Oltre a questo, c’è da dire che i riflettori hanno l’apertura parzialmente ostruita dallo specchio
secondario e dall’impalcatura che lo sorregge. Questo porta ad una perdita di contrasto e definizione, oltre che a stelle non puntiformi. Al fine di ridurre questo tipo di aberrazione in commercio esistono sistemi ottici di lenti chiamati riduttori di coma.
Telescopi Catadiottrici
Questa categoria di telescopi include diversi tipi di schemi ottici, tutti accomunati dalla prerogativa di avere sia lenti che specchi. Tra questi ricordiamo sicuramente gli Schmidt-Cassegrain, i Maksutov-Cassegrain, gli astrografi Schmidt e Schmidt Newtoniani.
A titolo di esempio, sotto viene riportato il solo schema ottico Schmidt-Cassegrain (SCT), che per la sua semplicità e versatilità è uno tra i più utilizzati tra gli astrofili di tutto il mondo. La lastra correttrice di Schmidt agisce da correttore di aberrazione sferica causata dallo specchio primario sferico. Attraverso la lastra il fascio di luce entra e viene riflesso prima dallo specchio primario e dopo dallo
specchio secondario convesso che agisce da spianatore di campo.
Vantaggi: Gli Schmidt-Cassegrain sono degli strumenti che nonostante le alte focali che raggiungono sono molto compatti, grazie al cammino ottico “ripiegato”, reso possibile dalla disposizione degli specchi primario e secondario.
Questo li rende ottimi per l’osservazione planetaria. Resti ben inteso che i SCT sono ottimi telescopi anche per l’osservazione e la fotografia di oggetti del profondo cielo, grazie anche alle aperture con cui vengono prodotti.
Svantaggi: Il peso aumenta all’aumentare dell’apertura dello strumento molto più velocemente rispetto al resto degli strumenti.
La curvatura di campo è accentuata ed è una nota negativa qualora si decida di utilizzare lo strumento per la fotografia con grandi sensori. Inoltre lo strumento mostra un leggero residuo di coma, soprattutto nella regione di campo più esterna.
Gli SCT soffrono anche di un residuo di aberrazione sferica prodotta dallo specchio primario sferico. Questa è dovuta al fatto che la luce riflessa dalla zona dello specchio primario più vicina al bordo mette a fuoco il fascio di luce in un punto diverso da quello in cui focalizzano le regioni più interne (vedi figura sotto).
Una volta fatti propri questi concetti, facendo un bilancio dei pro e contro di ogni schema ottico ed in relazione a ciò che ci interessa osservare potremo iniziare a capire quale strumento potrebbe accompagnarci nelle notti di osservazione.
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Angelo F. Gambino