Nel 1654, quando a Palermo veniva dato alle stampe il trattato “De Systemate Orbis Cometici, Deque Admirandis Coeli Characteribus” di Giovan Battista Hodierna, le vere nebulae conosciute si potevano contare a malapena sulle dita di due mani: erano noti fin dall’antichità il doppio ammasso di Perseo (h e c Persei), l’ammasso della Chioma (Mel 111), il Praesepe (M44), le Pleiadi (M45), M7, le Iadi (ma nessuno considerava Pleiadi e Iadi come nebulae); in epoca storica erano state scoperte la Grande Nebulosa di Andromeda (M31, ma pochissimi erano al corrente dell’esistenza del libro di Al-Sûfi, e lo stesso dicasi per le riscoperte di Marius e Boulliau) e quella nella Spada di Orione (M42). E si sapeva dell’esistenza delle due Nubi di Magellano, anche se non era facile ad un astronomo europeo osservarle. Se quel libro, abbastanza insignificante nella sua prima parte (sulla teoria delle comete Hodierna era decisamente indietro rispetto ai suoi tempi), fosse stato letto con un minimo di attenzione dagli astronomi del suo tempo (ma, ancor di più, da quelli del secolo successivo), la storia dell’astronomia, nei tre secoli che seguirono, sarebbe stata raccontata in modo molto diverso.
Note biografiche e bibliografiche
Giovan Battista Hodierna, interessante e particolarissima figura di pioniere della nascente scienza, che spiegò il suo non comune talento dalle innumerevoli sfaccettature nel profondo Sud della Sicilia seicentesca, nacque a Ragusa il 13 aprile del 1597. Non era Hodierna il suo vero cognome: il padre, modesto artigiano, si chiamava Vito Dierna. Il prefisso “Ho” fu successivamente aggiunto dallo stesso scienziato, con evidente allusione all’hodie, che in latino significa “oggi“: e ciò a testimonianza di uno straordinario entusiasmo per il suo “oggi“, e cioè il secolo in cui visse e operò.
Dei suoi studi giovanili sappiamo ben poco. Ma è certo precocissimo il suo interesse per l’astronomia: appena ventenne, ottenne l’autorizzazione ad usare per la propria attività osservativa il campanile della chiesa di S. Nicola (19) a Ragusa. Utilizzava strumenti rudimentali, autocostruiti, come egli stesso racconta nei suoi scritti (20). Da quella specola osservò, tra il 1618 e il 1619, le tre famose comete la cui apparizione originò la famosa polemica poi culminata nel Saggiatore di Galileo (21).
Nel 1622 fu ordinato sacerdote a Siracusa. Delle sue opere giovanili, scritte nel periodo ragusano, la più rimarchevole è Il Nunzio del Secolo Cristallino, scritta nel 1628 e rimasta inedita fino al 1902, quando fu pubblicata a cura di A. Licitra (22). Nel NunzioHodierna esalta le virtù del tempo in cui vive, e dell’uomo “oggidiano” (“oggidiano” deriva da “oggi“, come Hodierna deriva da “hodie“), l’uomo nuovo, in contrapposizione con il passato che viene visto negativamente e, in ogni caso, come definitivamente superato. Quest’opera, pur importante per la comprensione del pensiero di Hodierna, è di argomento filosofico piuttosto che astronomico, e non sembra il caso di soffermarci su di essa; sulla sua mancata pubblicazione si sono formulate diverse ipotesi (relative a sia ad incertezze teoriche che a prudenza politica (23)): quell’entusiasmo per le scoperte e le invenzioni, la grande ammirazione per Galileo, e la filosofia che da ciò scaturiva, potevano essere rischiosi in quei tempi e in quel paese su cui l’Inquisizione tuttora esercitava la sua opprimente influenza; e il ricordo di Giordano Bruno bruciava ancora (la condanna di Galileo da parte del Sant’Uffizio avverrà d’altra parte ancora qualche anno più tardi, nel 1633). Nel Nunzio, egli riferisce che il 24 di giugno di quell’anno stesso (1628) ricevette un cannocchiale (un buon Occhialone) da tale Rondonino di Roma (24).
Nel 1637 si conclude il periodo ragusano di Hodierna, ed ha inizio quello di Palma di Montechiaro, il più fecondo e produttivo. In quell’anno, lo troviamo al seguito dei fratelli Carlo e Giulio Tomasi che, nel contesto della politica spagnola di ripopolamento delle campagne e d’impulso all’agricoltura, fondano Palma. Essi gli assicurano una cospicua prebenda, sufficiente a consentirgli di dedicarsi senza problemi ai suoi studi (25) e produrre, negli anni che seguiranno, numerose opere, alcune delle quali veramente rimarchevoli. Nel 1645 il vescovo di Girgenti (Agrigento) lo nomina arciprete di Palma di Montechiaro (26).
Malgrado alcuni viaggi a Roma, Napoli e Palermo, nei quali strinse legami di amicizia e di reciproca stima con diversi eruditi del suo tempo, quali Juan Caramuel y Lobckowitz, Atanasio Kircher, Gaspar Schott, M. A. Severino, l’astronomo Francesco Fontana ed altri, e malgrado i contatti epistolari con personaggi del calibro di Riccioli, Huygens ed Hevelius (27), la permanenza nel piccolo ed isolato centro di Palma pesò come una cappa di piombo sullo scienziato ragusano. Lo sfogo struggente che possiamo leggere sul De Admirandis Phasibus in Sole et Luna visis (scritto nel 1656 in risposta ai quesiti inviatigli dal cistercense Domenico Plato, professore di filosofia nel convento di Monferrato, in ordine all’eclisse di Sole del gennaio dello stesso anno) testimonia la tristezza di un grande intelletto costretto ad un insopportabile isolamento:
…Socium non habeo, vel amicum, aut propinquum, quo paululum sublevari possim. Mens mea praeceptor meus, et difficultates meas nulli communico…Et quia mens nunquam satiatur, persaepe in tenebras inexplicabiles incidit et implicatur. Ideo necessitudinem meam tibi communicare volui ac debui Amico tamquam optimo, ut qui inter speculandum luce non indiges aliqua…precor humanitatem tuam, ut radium tuae claritatis impendas, et hasce ob oculos tenebras obvolutas resolvens, nebulas procul expellas, ne nimium inter hasce caligines obrutus depeream.
G. B. Hodierna morì a Palma di Montechiaro il 6 aprile 1660.
Hodierna fu più un enciclopedico che uno specialista. La sua insaziabile curiosità e il suo talento di ricercatore lo portarono ad indagare su ogni possibile recondito segreto della natura. Fu attratto da botanica e meteorologia, da anatomia ed entomologia, dalla “filosofia corpuscolare” (fu un convinto atomista) e dall’ottica. Costruì da sé un microscopio e studiò con straordinaria perizia l’occhio della mosca e di altri insetti (L’occhio della mosca, 1644); fu probabilmente il primo a studiare e comprendere la natura e la funzione delle zanne retrattili delle vipere (Dentis in Vipera Virulenti – Anothomia (sic!), 1644); studiò anche l’occhio umano (Il Sole del Microcosmo, 1644) e pubblicò le sue teorie sulla visione; ebbe interessanti intuizioni sulla natura dell’arcobaleno (Thaumantias Junonis Nuntia, ecc., 1647), anche se la sua formazione in materia di ottica, ancora troppo ancorata alle teorie tradizionali, gli impedì di giungere a conclusioni veramente innovative (28).
Indagò anche su altri versanti della fisica: per quel che riguarda la meccanica, ad esempio, nel suo Archimede redivivo con la stadera del momento (Palermo, 1644) pubblicò La Bilancetta (29) di Galileo, e quest’omaggio al fondatore della scienza moderna rappresenta non solo la prima pubblicazione in assoluto di quell’opera, che Galileo stesso aveva lasciato inedita, ma anche la prima pubblicazione di un’opera del grande Pisano dopo la sua morte.
Benché non fosse privo di contatti con frange importanti della comunità scientifica dell’epoca, egli non colse le soddisfazioni che le sue straordinarie capacità indagatrici dei segreti della natura gli avrebbero meritato. E, pur godendo di discreta fama tra i suoi contemporanei, benché le sue opere fossero ricercate dopo la sua morte da personaggi come Oldenburg (lo stesso segretario della Royal Society che invitò Newton a presentare alla Society il suo telescopio e la sua nuova teoria sulla luce) e Boyle (30), egli è rimasto praticamente ignorato dalla storiografia scientifica per qualcosa come tre secoli, finché l’appassionato lavoro di alcuni studiosi siciliani, intorno alla metà degli anni ’80, non ne ha posto in luce l’indubbio valore di astronomo, aggiungendo un importante paragrafo alla storia dell’astronomia. E in effetti, a parte la grandissima importanza di opere di argomento naturalistico, come L’occhio della Mosca e il Dentis in Vipera Virulenti, la grandezza di Hodierna risiede soprattutto nelle sue osservazioni astronomiche.
L’astronomo
L’arciprete di Palma godette di notevole fama, presso la comunità scientifica del suo tempo, grazie ai suoi studi sui quattro satelliti di Giove scoperti da Galileo: le Medicaeorum Ephemerides (31), del 1656, rappresentano le prime effemeridi pubblicate dei satelliti medicei. E non meno ragguardevoli sono i suoi lavori su Saturno (32): giunse più di chiunque altro, prima di Huygens, vicino a comprenderne la vera natura; pubblicò una sua lettera allo stesso Huygens sulle sue osservazioni (33), e ne avrebbe ricevuto la risposta, se la lettera del grande scienziato olandese non si fosse persa nei meandri dei servizi postali del tempo: non giunse mai in Italia, tornò indietro, ed è ancora conservata in Olanda (34). Hodierna vide l’anello, e descrisse il nero (35), il vuoto che lo separava dal corpo del pianeta. Ma, a causa della modesta qualità del suo cannocchiale, non riuscì fare il passo decisivo, ed anche, forse, a proiettarlo mentalmente nelle tre dimensioni.
Le opere che abbiamo ricordato, insieme ai suoi studi sulle comete, basterebbero a ricavargli una collocazione nella storia “minore” dell’astronomia. Ma ce n’è un’altra, la cui importanza, probabilmente proprio a causa delle sue caratteristiche pionieristiche, non fu affatto compresa dai contemporanei.
Nel 1985, sul Journal for the History of Astronomy, appare un articolo, a firma Giorgia Foderà Serio (Osservatorio Astronomico di Palermo), Lucio Indorato (Istituto di Matematica, Università di Palermo) e Pietro Nastasi (Istituto di Geodesia, Università di Palermo) dal titolo: G. B. Hodierna’s Observations of Nebulae and his Cosmology. In esso gli autori illustrano ed interpretano un’opera, di cui sino allora non si era sospettata l’enorme portata, dello scienziato ragusano: De Systemate Orbis cometici; Deque Admirandis Coeli Characteribus…. (36) Di quest’opuscolo, stampato a Palermo nel 1654, si è ritrovata, fra i già ricordati manoscritti di Vigevano, una versione preliminare della seconda parte (De admirandis Coeli Characteribus). Questa seconda parte, di gran lunga la più interessante, consiste tra l’altro di una catalogazione di oggetti celesti di aspetto nebulare, e delle relative mappe disegnate dallo stesso Hodierna.
Un tale interesse per le nebulae (37) in quel tempo era decisamente inconsueto e straordinariamente precursore: vuoi perché i modestissimi cannocchiali dei primordi non erano particolarmente adatti a questo tipo di osservazioni, vuoi perché l’attenzione di quei pionieri dell’astronomia strumentale, e di chi li finanziava (gli stati stessi, che dal progresso dell’Astronomia si aspettavano importanti ricadute utili alla loro egemonia, soprattutto sul mare) era prevalentemente rivolto allo studio dei moti planetari e, soprattutto, alla catalogazione delle “stelle fisse“. Tant’è vero che, prima di allora, la sola descrizione di un oggetto nebulare osservato al telescopio è quella di Peiresc, nel 1610, relativa ad M42 (38).
La prima parte (De Systemate Orbis Cometici) concerne la teoria delle comete. Seguendo la strada tracciata dal Saggiatore di Galileo, Hodierna distingue la natura delle comete da quella delle nebulae, attribuendo alle prime natura terrestre, e riconoscendo soltanto alle seconde natura celeste, stellare. Le nebulae, per G. B. Hodierna, sono Lux Primogenita (39).
Ma è la seconda parte (De admirandis Coeli Characteribus) quella che ci interessa maggiormente. Se si considerano i tempi in cui fu scritta, la modernità di quest’opera è strabiliante, tanto da far considerare il suo autore come il primo vero e proprio pioniere delle osservazioni di “oggetti del profondo cielo” o, come li chiamiamo in questo libro, nebulae (40).
L’autore inizia con una classificazione delle nebulae, prosegue con una catalogazione delle stesse, e conclude con una discussione cosmologica, una teoria in cui inquadra “tutti gli splendidi oggetti che si possono ammirare in cielo” e con una interessante discussione del sistema copernicano.
Il “De Admirandis…”: il primo catalogo di sole “nebulae”
La classificazione delle nebulae
La classificazione hodierniana delle nebulae ha la sua origine nell’assunto, comunemente accettato dagli astronomi del tempo, che tutti gli oggetti celesti di aspetto nebulare fossero, in definitiva, costituiti da stelle. Tale convinzione avrebbe resistito ancora per secoli, e nasceva dal fatto che Galileo, grazie al suo cannocchiale, aveva dimostrato che la luminescenza della Via Lattea era il risultato di un incredibile addensamento di piccolissime stelle; e in Hodierna fu forse rafforzata dal fatto che egli stesso era riuscito a risolvere tre delle stelle del “trapezio” nella Grande Nebulosa di Orione (M42). Inoltre, proprio la coscienza del fatto che il suo strumento fosse di qualità modesta lo rafforzò nel convincimento che tutti gli oggetti nebulari che osservava, compresa la Nebulosa di Andromeda (M31), che egli riscoprì indipendentemente, si sarebbero rivelati, se osservati attraverso uno strumento sufficientemente potente, come un’aggregazione di stelle (41).
Hodierna suddivide le nebulae in tre classi: Luminosae, Nebulosae ed Occultae. La distinzione è data essenzialmente dal diverso grado di risolvibilità (42) in stelle degli oggetti delle tre classi.
Alla classe delle Luminosae Hodierna fa appartenere tutte quelle nebulae nelle quali sia possibile distinguere alcune stelle ad occhio nudo (es.: Le Pleiadi). Le Nebulosae non consentono di distinguere alcuna stella ad occhio nudo; ma, osservate attraverso il cannocchiale, vengono risolte in stelle (es.: il “Praesepe“, che era stato risolto in stelle pochi anni prima da Galileo, appunto col cannocchiale) (43). Le Occultae, per lo scienziato ragusano, sono quegli ammassi densissimi di stelle talmente deboli e lontane che neppure il cannocchiale riesce a risolverle, e, di conseguenza, appaiono come un continuo splendore diffuso o come “una stella multipla con parti distinte“: due possibilità, se vogliamo, in contraddizione tra di loro (es.: M31) (44). In definitiva, Hodierna ascrive a quest’ultima classe le nebulae di estensione piccolissima o quelle, anche molto grandi, che però non riesce a risolvere in stelle.
Dopo aver proposto la sua classificazione delle nebulae, Hodierna passa ad elencarle; e, benché egli da solo ne avesse osservato più di chiunque altro prima di lui, anzi più di tutti gli astronomi di ogni tempo messi assieme, fino ad allora, pure, dimostrando di voler redigere un catalogo di tutte le nebulae note, egli riferisce di tutti gli oggetti di quel genere di cui ha notizia, comprese le due Nubi di Magellano e le nebulae riportate dagli antichi astronomi, tra cui quelle di Tycho (che erano semplici asterismi, e di qualcuno dei quali lo stesso Hodierna mette implicitamente in dubbio l’esistenza). E’ comprensibile, d’altra parte, che egli ponga l’enfasi, soprattutto, sulle proprie osservazioni. E ne ha ben d’onde.
Le Luminosae
Hodierna fa iniziare la sua rassegna dalle “Luminosae“, e sono le Pleiadi ad aprire la lista. Sarà interessante osservare che Hodierna tratta le Pleiadi tra le “nebulae”, e non come una costellazione, come era stato fatto in tempi più antichi.
Hodierna tratta delle Pleiadi alle pagine 11-15 del “De Admirandis…”; egli ne disegnò anche due tavole (quelle che lui chiama “latercula“), il primo (pag.12, riprodotto nell’immagine a sinistra) dei quali mostra l’aspetto dell’ammasso osservato ad occhio nudo, mentre il secondo (pag. 14) è un disegno “telescopico“. Inoltre, egli conta 33 stelle nell’ammasso, e fornisce anche (pag. 13) una tavola con le latitudini e le longitudini (misurate ovviamente sull’eclittica) delle sette stelle priù brillanti (le sette sorelle).
Il secondo posto tra le “Luminosae” spetta alle Iadi (pag. 15-17). Le stelle contate nella nebula per mezzo del telescopio sono“numero inexplicabiles” (innumerevoli).
La terza “Luminosa” è l’ammasso della Chioma (pag. 12-13).
E, a questo punto, c’è la prima scoperta originale di Hodierna: la quarta “Luminosa“, secondo le stesse parole di Hodierna, “…splende sul lato destro di Perseo, vicino alla Via Lattea, dove, accanto a una stella di elevata luminosità che splende dallo stesso lato, vi è anche una certa nebulosità…” Siamo certamente davanti alla più antica descrizione di questo ammasso galattico, conosciuto oggi come a Persei cluster o Melotte 20. A sinistra, la xilografia del libro.
La quinta “Luminosa” è quella della Spada di Orione (M42). Hodierna conta 22 stelle circondate da una nebulosità che non riusciva a risolvere. In più, egli risolve tre stelle del“Trapezio“, e disegna una tavola (pag. 19; l’immagine a sotto riproduce la xilografia del libro) che rappresenta il primo disegno “telescopico” di M42. Abbiamo anche, tra i manoscritti di Vigevano, l’originale schizzato a mano di questo disegno. Clicca qui per vederlo.
La voce seguente è un classico asterismo, di cui abbiamo la tavola nel libro e disegni manoscritti: la “Testa di Orione“.
Ed ecco, al settimo posto, la seconda scoperta originale di Hodierna: la “Luminosa Scorpionis (sic!)”, di cui l’astronomo ragusano ci ha lasciato uno splendido disegno (pag. 21: qui riprodotto a sinistra), che dimostra, senza lasciare adito a dubbi, la sua osservazione dell’ammasso galattico NGC6231 (con z1 e z2 Scorpii). A proposito di questo disegno, non si può fare a meno di notare una cosa: NGC6231 è un oggetto di declinazione talmente meridionale (-41° 43’) che anche da Palma di Montechiaro si può osservare soltanto quando si trova in prossimità del meridiano. Con un cannocchiale di tipo galileiano, che NON capovolge le immagini, doveva venir naturale disegnare l’ammasso con il nord in alto e il sud in basso. Il disegno di Hodierna, invece, mostra il nord in basso, come se l’autore disegnasse l’oggetto con un telescopio dotato di oculare positivo, e lo vedesse, dunque, capovolto.
L’ottava “Luminosa” (“nell’acqua dell’Acquario”, pag. 21) appare francamente indecifrabile.
Le Nebulosae
La lista delle “Luminosae” è seguita da alcune speculazioni di carattere cosmologico (che verranno poi riprese, più avanti, nei “Problemata Nonnulla”) e, quindi, dalla lista delle “Nebulosae“.
La seconda voce in questa lista riguarda un’altra celebre nebula: M7, il bell’ammasso dello Scorpione, già catalogato nell’Almagesto da Tolomeo.
Quindi, Hodierna cataloga il doppio ammasso, h e c Persei, altra nebula già menzionata da Tolomeo.
Al quarto posto, un’altra scoperta originale: M6, l’ammasso un po’ più piccolo, ma sempre splendido e cospicuo vicino ad M7, chiamato anche, per la sua forma che ricorda una farfalla dalle ali spiegate, “Butterfly Cluster“. Hodierna lo descrive come “La seconda e più piccola delle due nell’aculeo dello Scorpione, a ponente” (45). Nel caso di M6, comunque, è opportuno fare una considerazione: anche se Hodierna è stato certamente il primo a registrare questa nebula come oggetto a sé stante, è pur vero che il fatto che sia visibile ad occhio nudo e che sia così vicino ad M7, nebula nota ampiamente fin dai tempi di Tolomeo, fa pensare che probabilmente sia stato osservato fin da allora, e considerato parte di un’unica, grande nebula.
La quinta “Nebulosa” è un mero asterismo, considerato nebula fin dall’antichità: n1 e n2 Sagittarii.
Ed ecco ancora una scoperta originale: “Oltre l’arco del Sagittario, a ponente, vicino alla Galassia” (46) vi è NGC6530, l’ammasso galattico associato con M8. La posizione della nebula è determinata, oltre che dalle coordinate (latitudine e longitudine) fornite nel libro, anche dai disegni trovati tra i manoscritti dell’Archivio Capitolare di Vigevano. In una mappa tratta dal manoscritto “Delineatio signorum Zodiaci“, possiamo osservare, inoltre, una seconda nebula vicino alla prima, che si trova certamente nella posizione di M8. La posizione di questa seconda nebula è stimolante, ma è certo azzardato ipotizzare un’identificazione con M20 (o M21).
Al settimo posto tra le nebulose c’è un tris d’assi: tutte insieme, tre scoperte originali, i tre ammassi dell’Auriga che Messier catalogherà come M36, M37 ed M38 (47). La tavola del libro (a destra), con relativa identificazione delle stelle disegnate (ricostruzione fatta magistralmente nell’articolo dei tre studiosi palermitani) e determinazione delle posizioni dei tre ammassi non lasciano posto a dubbi.
Quindi, Hodierna cataloga un asterismo. Si tratta di un asterismo che era già stato catalogato come nebula da Al-Sûfi; ma l’opera dell’astronomo persiano del X secolo era ben poco nota in occidente, e Hodierna aveva ottimi motivi per considerarlo una propria scoperta. Si tratta della cosiddetta “Al-Sûfi’s Nebula“, o “Briocchi’s Cluster” (Cr399).
Un altro “classico asterismo” (88 Her.).
Ancora un asterismo, in Capricorno.
Le Occultae
Alle pagine 8-11 del “De Admirandis…”, e più avanti nell’Appendice, Hodierna affronta lo spinoso argomento delle “Occultae”. Egli cataloga diversi oggetti di questo tipo che sarebbero stati osservati da Tolomeo (11) e da Tycho (9), ma, correttamente, conclude che non si tratta di vere nebulae; quindi, parla della sua scoperta della grande nebula che si trova presso la cintura di Andromeda (M31: comprensibilmente la considera una sua scoperta: è chiaro che non sa nulla né di Al-Sûfi né di Simon Marius). La descrizione di M31 si trova a pag. 10.
Altre Nebulae nel libro
Oltre alle nebulae catalogate con una certa sistematicità, l’autore menziona alcuni altri oggetti, la cui classificazione è spesso di difficile inquadramento, essendo abbastanza sottile la separazione tra la categoria delle Nebulosae e quella delle Occultae.
Bisogna prendere in considerazione le pagg. 7, 11 e 48. Alcuni degli oggetti in questione sono stati identificati in modo definitivo fin dal 1985, con l’articolo dei tre studiosi palermitani. Questi sono:
- “…quae in eadem recta ducenda ab eductione caudae Syrii ad Algomeisa in Caniculae” (…quella [la nebulosa] che si trova sulla retta che va da Sirio fino a b Canis Minoris): la descrizione potrebbe apparire troppo vaga, ma tra i manoscritti abbiamo una mappa che spazza via ogni possibile obiezione: Hodierna descrive (e disegna sulla mappa) M47.
- “…iuxta Syrium ad ortum” (vicino a Sirio, ad oriente): a parte l’errore evidente (oriente anziché sud, ma è certamente un refuso), l’osservazione da parte di Hodierna dell’ammasso galattico M41 è fuori discussione alla luce di due mappe rinvenute tra i manoscritti di Vigevano, in cui M41 è chiaramente disegnato nella sua effettiva posizione.
- Alcune altre nebulae non sono identificabili dal libro, ma solo nelle mappe schizzate a mano che si trovano fra i manoscritti di Vigevano. In una mappa della costellazione del Canis Major, tratta dal fascicolo Registrum omnium constellationum, si può osservare una a nebula (catalogata a margine come “K: nebulosa in lumbis“) nella regione in cui si trovano gli ammassi galattici NGC2362 e 2354. Dato che NGC2362 è molto più cospicuo rispetto al suo vicino, l’articolo propone senz’altro l’identificazione della nebula di Hodierna con il primo. Senonché, nello stesso fascicolo, c’è una seconda mappa della regione, apparentemente incompleta, che mostra non una, ma DUE nebulae vicinissime in quella posizione. Dobbiamo escludere che il Ragusano possa avere osservato entrambi gli ammassi?
- Un’altra mappa del “Registrum omnium constellationum” dimostra la probabile scoperta anche di NGC2451.
Diversi altri oggetti sono stati identificati con altrettanta certezza; ma si tratta di meri asterismi, e non mi soffermerò su di essi. Vale invece la pena di parlare di alcuni problemi che, dal 1985, sono rimasti finora irrisolti.
I problemi aperti
L’articolo di Giorgia Foderà, Pietro Nastasi e Lucio Indorato lascia aperti alcuni problemi. E cioè:
La nebula menzionata alle pagg. 7, 11 e 48 e definita “vicino al Triangolo“; l’articolo del 1985 proponeva di identificare quest’oggetto con M33; Kenneth Glyn Jones respinse una tale possibilità con argomenti che, secondo chi scrive, non sono affatto convincenti. Noi pensiamo che Hodierna, parlando della nebula “iuxta Triangulum“, dimostri di aver osservato non solo M33, ma anche NGC752. Le relative argomentazioni sono esposte nella scheda di M33.
Nelle stesse pagine in cui si fa menzione della nebula “iuxta Triangulum” si nomina un altro oggetto che gli autori dell’articolo del 1985 avevano intuito correttamente trattarsi di M34; ma, messi fuori strada da un’indicazione errata di Hodierna (un errore, come vedremo, simile a quelli fatti da Messier nei casi di M47 ed M48) non hanno dato il giusto peso agli argomenti decisivi, che, come nel caso precedente, portiamo nella scheda di M34.
“…In Bracchio dextro Orionis, & in baculo” (nel braccio destro di Horione, e nella clava), pag. 48: potrebbe trattarsi di NGC2169 e 2175. Ma l’unica mappa dell’intera costellazione di Orione che ci rimane tra i manoscritti non mostra nebulae di alcuna sorta, a parte il solito asterismo della “Testa di Orione” ed M42 (“Luminosa Ensis Orionis“). Quindi l’identificazione appare un po’ troppo azzardata, anche se è lecito pensare che Hodierna possa aver osservato questi due ammassi galattici.
“…inter Leporem, & Columbam…” (tra la Lepre e la Colomba), pag. 48: è la regione in cui si trova l’ammasso globulare M79. La tentazione è forte, tanto più che tra i manoscritti c’è una mappa in cui, proprio in quella posizione, si vedono i tre puntini con i quali Hodierna soleva indicare un’Occulta. Ma Hodierna non ha visto M22 né M13, né M4, tutti molte volte più brillanti di M79, e posti in regioni da lui accuratamente scandagliate; ed M79 è uno degli oggetti più elusivi del catalogo di Messier: come si può pensare che sia riuscito ad osservarlo col suo telescopio?
“…in corpore Caeli post Caudam…” (nel Corpo del Cielo, dopo la Coda), p. 48: ebbene, io penso di aver risolto il rebus di questa espressione apparentemente incomprensibile. Ne “La Composizione del Mondo” di Restoro d’Arezzo, il più antico libro che tratti di astronomia, cosmologia e astrologia pubblicato in lingua volgare (e precisamente in Aretino), l’espressione “corpo del cielo” ricorre di frequente, e l’autore ne spiega esplicitamente il significato. In seguito ad una serie di ragionamenti esposti in nota per chi fosse interessato, mi sono convinto che Hodierna si riferisce qui alle nubi stellari nello Scudo.
“Nebulosa intercanicularis…” (nebula tra i due Cani), p. 48: l’articolo del 1985 lega questa espressione alla seguente (quae in eadem recta…), e la collega, quindi, ad M47. Io penso invece che le due frasi vadano prese separatamente (non è il caso di dare troppo peso alla punteggiatura del libro, che risulta errata e confusa in numerosi passi); “Nebulosa tra i due Cani” è un’espressione estremamente simile a quella usata da Cassini II per catalogare nei suoi Elements d’Astronomie la scoperta da parte di suo padre di M50. E se fosse stato Hodierna ad osservare per primo quell’oggetto, indicandolo quindi con la stessa espressione?
La cosmologia di Hodierna
Uno spirito aperto e curioso, come quello di Hodierna, dopo quasi quattro decenni di osservazioni astronomiche non poteva non tirare le fila di tanto materiale raccolto, tentando di inquadrarlo in una teoria unificata. La quale non poteva prescindere da implicazioni cosmologiche.
Abbiamo già accennato al fatto che Galileo aveva risolto in stelle la lattiginosa luminescenza della Via Lattea, e non solo: anche M44, lo splendido ammasso aperto nel Cancro; e da ciò aveva tratto la conclusione, peraltro accettata abbastanza pacificamente dagli astronomi del tempo, che ogni oggetto celeste di aspetto nebulare fosse, in ultima analisi, risolvibile in stelle. Hodierna aderisce pienamente a tale concezione, e la fa sua. Ma come conciliare con essa il fatto che il suo strumento non gli avesse permesso di risolvere in stelle la grande nebulosa di Andromeda, né quella che circonda le tre stelle che appaiono nel suo disegno raffigurante M42?
Per risolvere questa contraddizione, Hodierna parte da un assioma che definisce “irrefragabile” (48), irrefutabile: le stelle, all’atto della creazione, non furono poste tutte alla stessa distanza dalla Terra, ma distribuite a distanze diverse da questa e fra di loro diverse (49). Una volta ammesso ciò, è ovvio che le stelle possono apparire, viste dalla Terra, di diversa magnitudine, e ciò sia a causa di una loro intrinseca diversità di dimensioni, sia a causa delle loro differenti distanze (50).
E come mai, si chiede ancora, le stelle più brillanti appaiono spesso splendere solitarie nel cielo, mentre le più evanescenti si trovano spesso ammassate insieme?
Bene, la creazione delle stelle potrebbe corrispondere ad una condensazione della Lux primogenita in coaguli luminosi. Le stelle più grandi, essendo il prodotto della condensazione di una regione più grande, lasceranno pertanto uno spazio maggiore privato della lux intorno ad essa.
La coesistenza di stelle grandi e nebulosità quindi è inesplicabile, a meno che nel contesto non venga considerata la distanza: in tal caso, l’associazione stella-nebula sarebbe meramente prospettico, e lo spazio intorno alla grande stella potrebbe in realtà essere vuoto. Di conseguenza, dall’apparente evanescenza delle stelle non si può far derivare una maggiore distanza rispetto a quella delle stelle più luminose.
Inoltre, se il processo di formazione stellare deriva dalla condensazione di nebulae, dato che tuttora si possono osservare nebulae, tale processo probabilmente è tuttora in corso: e ciò vuol dire che in ogni momento potrebbe apparire una nuova stella (51). E l’immutabilità, l’incorruttibilità dei cieli? Niente male, per un prete del primo seicento!
Una tale concezione può spiegare la non risolvibilità sia della nebulosa in Andromeda che quella della spada di Orione: le nebulosità irrisolte sono dovute all’irradiazione di stelle estremamente deboli che si trovano a grandi distanze. Nel caso di nebulosità osservate intorno a Luminosae o Nebulosae, invece, si tratterebbe di una sovrapposizione, rispetto alle nebulae, di brillanti stelle di campo: un fenomeno puramente prospettico.
Una tale, inaudita profondità dell’universo stellare non può non condurre ad una discussione dell’argomento delle parallassi stellari (vedi immagine a destra).
In effetti, se molte delle stelle doppie che vengono osservate non sono altro che asterismi, associazioni prospettiche dovute alla sovrapposizione sulla stessa linea di vista di due o più stelle che in realtà si trovano a distanze estremamente diverse, se la teoria copernicana è vera, se cioè è la Terra che gira intorno al Sole, e non viceversa, allora dev’essere senz’altro possibile osservare la parallasse: l’angolo sotteso tra le due stelle e la Terra, cioè, dev’essere diverso se misurato, ad alcuni mesi di distanza, da due punti diversi dell’orbita che la Terra descrive intorno al Sole. Dato che ciò non avviene, in quanto in realtà non si possono misurare tali differenze angolari, Hodierna conclude la discussione con un’apparente professione di ortodossia ed un rifiuto della visione copernicana.
Ma non si ferma qui. Egli ammette invece che il mancato rilievo delle parallassi non si presta ad una conclusione univoca: la cosmologia copernicana sarebbe salva, se le stelle fossero così distanti da noi da sfidare ogni umana immaginazione. E aggiunge che l’immensità dell’universo che trapela da tali indizi sarebbe un monumento alla maestà del Creatore ben maggiore di quello disegnato dalla cosmologia tradizionale: “Come va che le stelle appaiono sparse nell’etere, così che non si può trovare un’armonia nel loro ordinamento, che le più grandi si trovino insieme alle più piccole in modo disordinato, e in diverse aggregazioni? Può darsi forse che, con i nostri occhi lontani dalle loro aggregazioni, la nostra mente non possa percepire il loro ordine? O potrebbe essere che l‘aggregazione dell’ordine divino sia molto diversa dall’ordine umano, così che le stelle nell’immenso cielo non si trovano sulla stessa superficie di una sfera centrata su di noi, ma sono piuttosto poste a diverse distanze nell’etere, dove le aggregazioni di stelle fisse appaiono essere disordinate, benché forse siano ordinate attorno ad un centro dell’universo diverso dalla Terra(52), nello stesso modo in cui i pianeti, che sono ordinati intorno al Sole, a noi sembrano essere estremamente disordinati.” (53)
Appare francamente sbalorditivo il fatto che un prete in Sicilia, dove l’Inquisizione era particolarmente influente, potesse osare mettere in dubbio, pur in modo così ipotetico, il sistema geocentrico (54). Giordano Bruno era stato arso vivo appena nel 1600, e la condanna di Galileo da parte del Sant’Uffizio risaliva a meno di vent’anni prima (55). Certo, la posizione formale dell’arciprete di Palma è di adesione alla teoria tychonica; ma, se la sua sincera religiosità lo porta a professare la concezione dell’universo che ritiene conforme alle Scritture, pure la sua sensibilità di scienziato non manca di fargli comprendere, anche se su un piano meramente speculativo e razionale, quella scientificamente più accattivante che trapela dalla teoria copernicana e dalle nuove osservazioni strumentali.
Per Hodierna, in conclusione, uno scienziato deve innanzi tutto basare le proprie speculazioni su esperienza e osservazioni, ma deve anche aver in mente che Dio, nella sua infinita saggezza, può aver creato le cose in modo tale che forse la mente umana potrebbe non comprenderle sulla sola base di quelle.
—————– note ————————
(19) Cfr. Mario Pavone, Introduzione al pensiero di Giovanni Battista Hodierna – Filosofo Matematico e Astronomo dei primi Gattopardi, a cura dell’Amministrazione Comunale di Ragusa, Setim Editrice, Modica1981, pag. 24. <-
(20) Cfr. G. B. Hodierna: De Systemate Orbis Cometici…, Panormi, Typis Nicolai Bua, 1654, pagg. 69-70. <-
(21) Galileo pubblica Il Saggiatore nel 1623. L’opera ebbe origine da una disputa con il padre Orazio Grassi, sulla natura delle comete. Galileo assume, a proposito delle comete, le posizioni caratteristiche dell’ormai declinante aristotelismo. Egli considera le comete piuttosto fenomeni ottici che non oggetti fisici: risulterebbero dalla rifrazione della luce solare sulle esalazioni terrestri. Nelle pagine del Saggiatore è presente la celebre dottrina di Galileo che esprime la ferma convinzione che la natura, pur essendo “sorda e inesorabile ai nostri vani desideri“, pur producendo i suoi effetti “in maniere inescogitabili da noi”, rechi al suo interno un ordine ed una struttura armonica di tipo geometrico: “La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo) ma non si può intender se prima non s’impara a intender la lingua e conoscere i caratteri ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto”. <-
(22) Cfr. A. Licitra, Studio su la vita e su le opere di Giovanni-Battista Hodierna, Astronomo-Matematico e Naturalista Ragusano, Ragusa, Tip. Piccitto & Antoci, 1899. <-
(23) Cfr. A. Licitra, op. cit., pagg. 22-23; C. Dollo, Astronomia e profetismo nel “Nunzio del Secolo Cristallino di Giovanni Battista Hodierna”, in “La scuola galileiana – prospettive di ricerca” (Atti del convegno di studio di Santa Margherita Ligure, 26-28 ottobre 1978), La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1979, pag. 244 n. 250. <-
(24) Cfr. G. B. Hodierna: Il Nunzio del Secolo Cristallino, in Mario Pavone: Introduzione al pensiero di Giovanni Battista Hodierna Setim Editrice (Modica, Rg) pag. 157. <-
(25) Cfr. G. Caputo: Umanità di G. B. Hodierna, l’astronomo di Giulio I Tomasi e delle “Medicaeorum Ephemerides”, in Atti e memorie dell’Accademia toscana di scienze e lettere “La Colombaria”, vol. XXXVII, nuova serie XXIII, Leo S. Olschki editore, Firenze, 1922, pagg. 32-33. <-
(26) Cfr. Atto di nomina conservato presso la Cancelleria vescovile di Girgenti, N. della segreteria 1629; Cfr. Mario Pavone, op. cit., pag. 28, nota (19). <-
(27) Cfr. Kenneth Glyn Jones: Messier’s Nebulae and Star Clusters, II edition, Cambridge University Press, 1991, pag. 325; Cfr. anche Cfr. G. Foderà Serio, L. Indorato, P. Nastasi: Light, colors and rainbow in Giovan Battista Hodierna (1597-1660), Annali Dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, Anno VIII, 1983, Fascicolo 1, pag. 62, nota 15. <-
(28) Cfr. Cfr. G. Foderà Serio, L. Indorato, P. Nastasi: Light, colors and rainbow in Giovan Battista Hodierna (1597-1660), Annali Dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, Anno VIII, 1983, Fascicolo 1. <-
(29) Galileo compose questo scritto nel 1586, dopo aver interrotto gli studi di medicina all’Università di Pisa. In esso egli si prefigge di risolvere in modo squisitamente esatto il problema di Archimede di verificare la composizione della corona di Gerone, tiranno di Siracusa. Applicando il principio idrostatico e il principio della leva, entrambi di Archimede, dà prima i fondamenti teorici e quindi indica il modo per costruire praticamente una bilancia idrostatica per la determinazione dei pesi specifici. L’opera, la prima scrittura scientifica di Galileo composta in italiano, diffusa manoscritta fra i dotti del tempo, giovò molto alla fama del suo autore e fu uno degli elementi determinanti per la sua nomina a lettore di matematica a Pisa. Essa costituisce anche una prova dell’approfondito studio che Galileo condusse sulle opere del grande siracusano. <-
(30) Cfr. G. Foderà Serio, L. Indorato, P. Nastasi: Light, colors and rainbow in Giovan Battista Hodierna (1597-1660), Annali Dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, Anno VIII, 1983, Fascicolo 1, pag. 61, nota 4. <-
(31) Cfr. G. B. Hodierna: Medicaeorum – Ephemerides – Nunquam Hactenus Apud Mortales Editae – Cum suis Introductionibus – In tres Partes Distinctis – Auctore – Don Io. Baptista Hodierna, ecc., Panormi, apud Cirillos. MDCLVI. <-
(32) Cfr. G. B. Hodierna: Protei Coelestis Vertigines – Seu Saturni Systema – A D. Ioanne Hodierna – Siculo Palmae (Saturni heffigies – Ab Anno 1646 ad 1653). Panormi, ex Typ. Nicolai Bua, 1657. <-
(33) Cfr. G. B. Hodierna: Viro Egregio Astronomo Praestantissimo Christiano Hugenio Batavo Hagae, D. Ioannes Hodiernae Siculus Palmae S. P. D., 20 dicembre 1656. <-
(34) La lettera di Christiaan Huygens a G. B. Hodierna è conservata nella Bibliotheek Der Rijksuniversiteit te Leiden – Sezione dei manoscritti occidentali – Olanda. <-
(35) Cfr. G. B. Hodierna: Protei caelestis Vertigines seu Saturni Systema – A D. Ioanne Hodierna – Siculo Palmae, Panormi, ex typografia Nicolai Bua, 1657, pag. 13: “…ita ut Ansulas referant, nam et internae umbrosae Regiones in maiorem longitudinem producuntur, apparent vero nigerrimae; & ob id nullam includere superficiei convexitatem, sed veluti cavernarum concavitates…” <-
(36) Il titolo completo dell’opera è: DE SYSTEMATE ORBIS COMETICI; DEQUE ADMIRANDIS COELI CHARACTERIBUS, OPUSCOLA DUO, IN QUORUM PRIMO Cometarum Causae disquiruntur, & explicantur, necnon Viae cometarum, per Orbem Cometicum multiplices Indicantur. In Secundo vero Quid, quales, quotue sint Stellae Luminosae; Nebulosae; necnon, & Occultae, manifestantur. & rerum Coelestium studiosis commendantur. AUTHORE DON IOANNE BAPTISTA HODIERNA Siculo Palmae Archipraesbytero. PANORMI, Typis Nicolai Bua, 1654. – SUPERIORUM PERMISSU.- Hodierna scrive in qualche caso “Characteribus“, in qualche altro “Caracteribus“. Qui si userà sempre la prima forma, che ci appare la più corretta (N.d.A.). <-
(37) Il termine nebulae tradizionalmente indica tutti i corpi celesti diversi da comete, stelle vere e proprie e pianeti: erano nebulae le nebulose vere e proprie, quelle che poi si sarebbero rivelate galassie, gli ammassi globulari, gli ammassi aperti e, in alcuni casi, anche semplici asterismi. <-
(38) Cfr. Kenneth Glyn Jones: op. cit., Introduction, pag. 2: “Apart from discovery in 1610, by Peiresc, that the star q Orionis was surrounded by faint stars and nebulosity, it seemed that no new nebulae gave themselves up to telescope scrutiny until 1665 wehn A. Ihle picked up a bright “nebulous star” in Sagittarius – the first “globular cluster”, M22. However, in 1984, the examination of a remarkable document, printed in Palermo, Sicily, in 1654, has revealed that the hitherto obscure astronomer, G. B. Hodierna, using a small refractor with a fixed magnification of x20, had observed more than forty objects, ninteen of wich have been identified as true nebulae or star clusters. In addition to his re-discovery of the Andromeda Nebula (M31) he was the first to observe six of the star clusters of Messier’s list; M6, M36, M37, M38, M41, and M48. Another four objects: NGC 2362, NGC 6231, NGC 6530 and possibly NGC 2451 (not listed by Messier) were first discovery by him.” <-
(39) Cfr. Mario Pavone: op. cit., pag. 111: “La luce è per Hodierna un ‘primum’, ontologico e gnoseologico, a cui vanno ricondotti tutti i fenomeni e i processi conoscitivi…”. Cfr. anche Cfr. G. Foderà Serio, L. Indorato, P. Nastasi: Light, colors and rainbow in Giovan Battista Hodierna (1597-1660), Annali Dell’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, Anno VIII, 1983, Fascicolo 1, pag. 66: “In Hodierna we still find the distinction between light itself (Lux) and its manifestation in the interaction with matter (Lumen, lucis Idolum species, vel Simulacrum). Lux is, together with motion, at the basis of the phenomenology of the physical world.”. Per le antiche teorie sulla luce e sulla visione, Cfr. Vasco Ronchi: Sui Fondamenti dell’Acustica e dell’Ottica, Firenze, Leo S. Olschki Editore, MCMLXVII, pagg. 157 e segg. ; dello stesso Autore, Lenti per occhiali, Firenze, Giunti e Barbèra, 1970, pagg. 1-19. <-
(40) Cfr. Kenneth Glyn Jones: ibidem. <-
(41) Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 27: “Interim si peroptimo & permagno Tubospecillo haec Coeli partes, quae alio quin caecae videntur, prospiciuntur, statim Stellarum congeries apparebit. <-
(42) Sul potere risolutivo dei cannocchiali Cfr. Domenico Argentieri: Ottica Industriale, Editore Ulrico Hoepli, Milano, 1953, pagg. 315 e segg. <-
(43) “Nebulosae Stellae encomio, illum Coeli eminentissimi Tractum, vel Nexum decorandum venuti, qui ad immediato, seu nudum oculorum intuitum nebuculae speciem adamussim representare valeat, quamvis deinde, ubi oculus prospicientis Tubospecillo corroboretur, nequaqum nebulosus nexus, aut simplex Stella, sed copiosa Stellarum coadunatio circumspectari videatur.
Et consequenter, Stella nebulosa nil aliud esse perhibet, nisi Stellarum tumultuosa in Aethere eminentissima coadunatio, quae ob totidem luminum tenuissimorum confusam ad oculum irradiationem sub speciem unius nebulosi Globis ad sensum representantur”. Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 3. <-
(44) “…nihilominus ubi oculus prospicientis Tubospecillo munitus fuerit, & eumdem Coeli nodum excernere contigerit, tunc non Stella simplice, sed aut multiplice, partibus distinctis, aut caecum quodam lucis iubat, indivisum cernere videbitur. Et consequenter Stella occulta nil aliud esse perhibet, nisi arctissima tenuissimarum Stellarum in profundiori sinu coadunatio, quam vix oculus, Tubospecillo corroboratus, excernere poterit.” Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 3. <-
(45) “Quarta Nebulosa secunda, & exigua duarum est, quae candescunt iuxta Aculeum Scorpionis, haec vero ipsi Aculeo praeminet declinans à magna in Boream, & occasum” (De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 42). <-
(46) Pag. 44 del De Admirandis…: “Sextus Nebulosus Coeli tractus in eadem Sagittarij Regione supra telum ad occasum iuxta Galaxiam valde candescit…Eius longit. sub gr. 25 Sagit. Latit. Merid. gr. 1.” <-
(47) “Septimus Nebulosus tractus…candescit constellatione Auriga…In qua tres Nebulosi tractus C, F, & G, deprehenduntur, quorum C omnino evidentissimum in adiecto Laterculo inferibundum curavimus” (De Admirandis…, pag. 45). <-
(48) “Pro solutione eximij huius Problematis, Primum, irrefragabile quoddam veluti Axioma, pro suppositione, admittendum est, videlicet.” Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 25. <-
(49) “Stellas Mundo coevas, quae in Aetheris eminentissimi profunditate, innata sibi luce, adinstar Solis huius, praefulgent, nequaquam omnes, ac singulas in eadem Sphaericitate Mundi coordinatas, & circumpositas esse, ita ut omnes, ac singulae è Terris aequidistent: sed per varias, ac multiplices Mundi sensibilis immensas Sphaericitates; & intervallis longè inaequalibus, per immensum dissitas, ab ipso summo rerum Conditore fuisse distribuitas: eadem quippe ratione, qua circa Solem istum Stellae errantes per diversas, & inaequales Sphaericitates coordinantur, & circumferuntur.” Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pagg. 25-26. <-
(50) “Tali pacto quidem, ut nos Mortales, nulla ratione convincimur, ut Syrius, Arcturus, Capella, Fidicula, Palilicium & reliquae eiusdem ordinis praecipui Stellae, in eadem cum Stellis esiguis (Aquarij, Delphinij, Hyadum, Pleiadum, Comae Berenicis, & huiusmodi) Mundi Sphaericitate, & à nobis aequali distantia coordinentur, & constituantur, sed neque praeterea scire possumus, an reipsa Stellae prioris, & secundi ordinis, Stellis ultimis, vel penultimis, sicuti nobis apparent, maiores existunt, possibile est enim, ut ad invicem sibi aequales existant, quantumvis ob maiorem, atque maiorem ab oculis nostris intercapedinem, quae aequales intense existunt, tenuiores appareant Stellae: quia neque ostendere possumus, an Sol iste magis à nobis distet, quàm singulae Stellae à se invicem; certiores tamen sumus, Mundi sensibilis magnitudinem de necessitate in immensum diffundi, & expandit prout ex ipsa solis huius inexplicabili è Terris celsitudine, colligimus.” Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 26. Qualcuno potrebbe avere difficoltà a collegare quel Palilicium citato con Sirio, Capella, ecc. con stelle note: è un nome collettivo (sidus Palilicius) con cui in epoca romana venivano indicate insieme Aldebaran e le Hyadi, che al tempo delle feste Palilie scomparivano nel crepuscolo della sera. Le Palilie (o Parilie) cadevano il 21 aprile (anniversario della fondazione di Roma), ed erano feste campestri di purificazione, che si celebravano in onore di Pale, divinità italica che dava buoni pascoli sui monti e insieme ad Inuo preservava il bestiame dalle malattie e dai predatori (N.d.A.). <-
(51) G. F. Serio, L. Indorato, P. Nastasi: G. B. Hodierna’s observations of nebulae and his cosmology, Journal for the History of Astronomy, 1985 n° 45, pagg. 28-29. <-
(52) Il grassetto è dell’autore. <-
(53) “Unde fieri contixit, ut adeò incompositè per universum Aether Stellae circunsertae appareant, ut nullus in eis ordinis concentus circumspectari possit, quin potius maiores cum minoribus tumultuosè in varias congeries, & catervas ad invicem coire videntur? An quia fortasse oculus noster extra illarum seriem constitutus, optica ratio non finit ordinationem illorum inspicere, vel quia series divinae ordinationis, ab humana ordinatione valde longè abesse oportet interea Stellae eminentissimi firmamenti nequaquam in eadem spherae superficie nobis concentrica, sed per diversas Aetheris profunditate circumferuatur: unde sicuti Stellarum errantium, quarum ad Solem sphericitates, ac motus coordinantur, Circuitus, Revolutiones, & Progressus, nobis Terricolis inordinatissimi appareant, ita & Stellarum inerrantium inordinata series videtur, quatenus fortasse ad talium universi centrum coordinantur, quàm ad Terrae centrum.” Cfr. G. B. Hodierna: De Admirandis Coeli Characteribus, pag. 54.<-
(54) Ricordiamo che il De Revolutionibus di Copernico avrebbe fatto bella mostra di sé nell’Indice dei libri proibiti fino al 1822. In Toscana e nel Regno di Napoli, il copernicanesimo fu condannato con veemenza fino all’inizio del sec. XVIII. In definitiva, finché Newton, nel 1687, non dimostrò che la Terra e il Sole dovevano ruotare intorno al centro di massa comune (il quale, data la differenza di massa, si trova dentro il Sole stesso), non c’era alcun principio o legge scientifica nota che esigesse l’adozione del modello eliocentrico. <-
(55) Cfr. Paolo Rossi: Il pensiero di Galileo Galilei, Loescher editore, Torino, 1970, pagg.151 e segg. <-
Autore: Fredi De Maria